Ticket to Paradise: il ritorno alla rom-com di George Clooney e Julia Roberts (2024)

Siamo ormai abituati a vedere serie accompagnate da una massiccia campagna promozionale e dal finto entusiasmo di content creator opportunamente foraggiati, che nella stragrande maggioranza dei casi si rivelano i classici topolini partoriti dalla montagna, destinati a cadere ben presto nel dimenticatoio. A volte capita però di imbattersi in veri e propri gioielli, capaci di parlare al cuore degli spettatori e di diffondersi quasi esclusivamente grazie alla dirompente forza del passaparola. È questo il caso di Baby Reindeer, serie ideata, scritta e interpretata da Richard Gadd sulla base del suo omonimo one man show, ispirato a sua volta a un’amara e inquietante vicenda di stalking di cui è stato vittima. Un tema sempre attuale e purtroppo familiare a molte persone, afflitte dai comportamenti tossici e possessivi di soggetti mentalmente instabili e incapaci di rispettare i limiti imposti dalla civiltà e dal rispetto nei confronti del prossimo.

Nel corso di 7 episodi, ci addentriamo nell’abisso esistenziale di Donny (Richard Gadd), giovane barista che nel tempo libero si improvvisa comico, con risultati scarsi e a tratti imbarazzanti. La sua vita, già segnata da traumi passati e da una turbolenta sfera sentimentale, cambia nel momento in cui conosce l’apparentemente inoffensiva Martha (Jessica Gunning), che entra nel bar di Londra dove Donny lavora per bere qualcosa, dichiarando però di non avere i soldi per pagare. Mosso da comprensione e solidarietà umana, il protagonista le offre una tazza di tè. Quella che inizialmente sembra semplice gratitudine e ingenuo interesse sentimentale da parte di una persona chiaramente sola, si trasforma in una vera e propria ossessione, fatta di valanghe di email sgrammaticate e inopportune, insistenti richieste di incontro e continue irruzioni nella vita privata di Donny, con conseguenze emotive devastanti.

Baby Reindeer: un doloroso viaggio nell’abuso, nel trauma e nello stalking

Thriller come Attrazione fatale e Misery non deve morire hanno tratteggiato in maniera raggelante la violenza fisica e psicologica imposta da una donna nei confronti di un uomo, alimentata pulsioni malsane. Baby Reindeer sembra battere gli stessi territori, per poi tramutarsi in un racconto molto più profondo e complesso, che scandaglia le personalità dei protagonisti da diversi punti di vista, generando emozioni contrastanti e contraddittorie nello spettatore. L’ampio minutaggio garantito dalla dimensione seriale è per una volta provvidenziale, e permette a Richard Gadd di riversare in arte il suo torbido vissuto, con una sincerità e una limpidezza invidiabili.

Quella della “Piccola renna” (nomignolo affibbiato da Martha a Donny, da cui deriva il titolo) non è solo una parabola di paura e dolore, ma anche e soprattutto una lucida riflessione sulla dinamica fra vittima e carnefice, che non è fatta solo di bene e male, ma anche di imperscrutabili zone grigie, in cui il vissuto di ognuno di noi entra prepotentemente in gioco, spalancando la porta a pericoli e sofferenze. Il quarto lacerante episodio di Baby Reindeer offre infatti uno straziante spaccato della vita di Donny prima del suo incontro con Martha, fondamentale per comprendere la sua eccessiva tolleranza nei confronti della sua sinistra spasimante nei momenti iniziali della vicenda. Una digressione narrativa tanto pregevole quanto devastante, che evidenzia la facilità con cui le persone che hanno subito gravi shock possono cedere alle più insidiose lusinghe, faticando enormemente a lasciarsi alle spalle rapporti debilitanti.

Un racconto autobiografico

Con il passare dei minuti e degli episodi, Baby Reindeer sviscera nel dettaglio diversi risvolti della vita di Donny, pressoché incomprensibili se presi singolarmente ma allo stesso tempo fondamentali tessere di un intricato puzzle fatto di violenza, abuso, dipendenza e senso di colpa. Fra le pagine più sconvolgenti c’è sicuramente il rapporto fra Donny e lo sceneggiatore di successo Darrien (Tom Goodman-Hill), una sorta di irraggiungibile modello per un comico fallito come lui, capace però di trasformarsi in temibile minaccia. Di segno opposto è invece il rapporto fra il protagonista e la dolcissima Teri (Nava Mau), donna trans che rappresenta uno dei pochi momenti di luce e speranza nella sua esistenza, vanificato però dal timore di Donny nei confronti di una società retrograda e ancorata a stupidi pregiudizi.

A dominare sugli altri personaggi che gravitano intorno al protagonista è però la formidabile Jessica Gunning, che riesce nel non facile intento di rendere Martha una villain tanto spregevole e respingente quanto fragile. Il percorso tortuoso e tormentato di Donny lo porta a tollerare e addirittura a entrare in empatia con la sua personalità evidentemente malata, in cui la mitomania viaggia di pari passo con l’invadenza e con la più asfissiante possessività. Martha è al contempo donna goffa e impacciata, folle persecutrice, fredda calcolatrice, bugiarda seriale e amante ostinata. Tante facce di una medaglia che si chiama stalking, fenomeno che è necessario comprendere e contrastare, grazie anche alla mediazione culturale offerta da prodotti come Baby Reindeer.

Il finale di Baby Reindeer

Come in Joker, il punto di vista di un comico fallito sulla vicenda non fa che acuire il disagio dello spettatore, costantemente in bilico fra rigetto e profonda empatia per un’esistenza penosa e umiliante. La comicità cercata e quasi mai raggiunta da Donny diventa inoltre fondamentale per uno dei momenti più struggenti di Baby Reindeer, in cui l’esperienza del protagonista è contemporaneamente spunto da stand-up comedy, straziante elemento drammatico e fedele autobiografia dello stesso Richard Gadd. Un cortocircuito fra realtà, finzione e ricostruzione che lascia profondamente scossi, come raramente succede nella serialità contemporanea.

La storia circolare di Baby Reindeer sfocia in un finale emblematico, che non impone allo spettatore un’unica spiegazione ma lascia invece la porta aperta a più possibilità, rimarcando però ancora una volta la stretta correlazione fra la vittima e il carnefice. Il percorso di Donny ci ricorda infatti che chi ha subito un abuso, un trauma o una violenza porta con sé cicatrici invisibili ma tangibili, che se non analizzate e interiorizzate a sufficienza possono portare a un atteggiamento eccessivamente indulgente o addirittura a comportamenti altrettanto pericolosi e violenti. I ripetuti disclaimer con cui Baby Reindeer invita le persone vittime di stalking o abusi a cercare supporto sono in questo senso più importanti che mai.

I riferimenti di Baby Reindeer

Fra espliciti omaggi a Lost (la mail da cui scrive Martha è ma4815162342@yahoo.com) e alla celeberrima scena del burro di Ultimo tango a Parigi (riproposta brevemente con un’inquadratura analoga), Baby Reindeer scava nell’animo dello spettatore, dando vita al dolente racconto di un aspirante Re per una notte che si ritrova all’inferno, vittima di un’esperienza in cui convivono la vergogna, l’ingenuità, la gentilezza e il bisogno di una goccia di amore in un mare di dolore. Un’esperienza da cui chiunque è separato solo da una semplice tazzina di tè.

Baby Reindeer è disponibile su Netflix.

Overall

8.5/10

Valutazione

Baby Reindeer precipita lo spettatore in un inquietante, amaro e indimenticabile viaggio nel contraddittorio rapporto tra vittima e carnefice.

Ticket to Paradise: il ritorno alla rom-com di George Clooney e Julia Roberts (2024)

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